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le fate sibilline


 


Alcuni sostengono che le fate ci siano ancora adesso sui monti Sibillini e a riscontro di questa convinzione adducono fantasiose prove:

le treccioline delle criniere delle cavalle. A volte gli animali condotti liberi al pascolo sui monti tornano con la criniera pettinata a treccioline e i valligiani sostengono che le artefici sarebbero le fate;

le luci random, fenomeno osservato in prevalenza nella zona di Santa Maria in Pantano, a Colle di Montegallo (AP), osservabile al tramonto: sulle montagne a volte si vedono delle luci che si muovono come se fossero delle persone, individuate come le fate che risalgono i pendii.


Le fate sibilline furono demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati.


Furono costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna ed entrare a far parte del mondo invisibile. Secondo la ricerca di Polia gli abitanti delle zone imputano la scomparsa delle fate a una sorta di scomunica inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le loro parti caprine.




Il significato dei principali simboli e l’analisi interpretativa


Le fate


Significato simbolico. Il simbolo principale che domina questa leggenda è quello delle fate, creature di sesso femminile, dotate di magici poteri che le rendono capaci, in un istante, di esaudire o delude i desideri più ambiziosi. Il nome fata deriva dall’altro nome latino delle Parche, che è Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero destino). La fata è principalmente presente nelle fiabe o nei miti di origine italiana e francese, ma trova comunque figure affini nelle mitologie dell’Europa dell’Est.


Nell’originale accezione dell’Europa meridionale (senza influenze celtiche) è totalmente sovrannaturale, cioè non ha nulla di umano se non l’aspetto.


Generalmente, nell’immaginario collettivo, le fate hanno le sembianze di una donna dalla pelle chiarissima, quasi perlacea, gracile e non molto alta e sono vestite con gonne lunghissime, a coprire eventuali deformità (quasi ogni fata presenta infatti, una parte del corpo bovina o caprina) ed in capo hanno un lungo cappello conico o a tronco di cono (Hennin). Sono dotate di bacchetta magica (o verga, bastone) un’affermazione in chiave figurativa, del potere magico di guarire i mali fisici e spirituali delle persone.


Dotate, solitamente, di un animo nobile, sono sempre ad aiutare chi è in difficoltà e vegliare sulle persone (soprattutto gli innocenti perseguitati), a proteggere i bambini (vengono infatti definite "comari" o madrine nella accezione moderna) e a dispensare pregi e virtù. Ma il loro carattere ha anche delle note inquietanti: tendenzialmente vanitose ed egocentriche, sono molto permalose e irascibili: un solo torto può scatenare la loro ira ed il loro dispetto, inducendole ad incattivirsi ed attuare incantesimi punitivi e lanciare maledizioni (vedasi, ad esempio, la fiaba "La bella addormentata").


Oltre ad un ruolo di premiazione, quindi, hanno anche un ruolo fortemente punitivo.


La fata dalla stereotipata bellezza, intesa, nell’immaginario collettivo è simbolo della sublimazione della magia amorosa e dell’erotismo e di poteri mentali superiori dell’essere umano.


Con la loro potentissima verga (bacchetta magica), le fate rappresentano, una concreta minaccia al potere del maschio. Forse è questo il motivo per cui nella leggenda sono relegate ai margini sociali (tra i boschi, nell’oscurità): forse perché la società maschile, timorosa di vedere indebolita la propria supremazia, ha voluto a bandirla dalla vita visibile (diurna) nei villaggi.



Le Fate sibilline hanno piedi caprini che devono tenere nascosti


Significato simbolico. In araldica la capra fu assunta a simbolo di fatica, di spirito di adattamento, di pace e benevolenza. Era l’animale per eccellenza capace di vivere e prolificare su terreni impervi e aridi, in grado di consentire all’uomo l’allevamento e la sopravvivenza in territori che per la loro struttura morfologica non consentivano altri tipi di allevamenti o coltivazioni. Da questa sua energia frizzante nasce la fertilità e la vita, nella mitologia greca Zeus infante è infatti nutrito dalla capra Amaltea.



E’ abbastanza recente invece l’accezione negativa, attribuita a quest’animale, dalla chiesa cattolica che ha cercato di sopprimere la sua venerazione, in antitesi alla mitologia greca che coglieva nel profondo legame di questo animale con la terra, la natura ed il mondo silvestre e con la sua facilità di partorire ed essere madre un simbolo sessuale. Con i loro poteri, le fate (femmine) rappresentano, una concreta minaccia al potere del maschio (rappresentato dalla chiesa, notoriamente esclusivamente maschile). Forse è anche per questo motivo che la chiesa volle attribuire alla capra un valore spregiativo associandolo a Satana, a rapporti sessuali libertini e incontrollati, attribuzione negativa che trovò facile terreno nei circoli occultisti alla moda di Inghilterra e Francia e che con l’inquisizione si trasformò nell’orribile caccia alle streghe organizzatrici di orge con il Demonio.



La Grotta della Sibilla e l’interpretazione della leggenda

 

Sui monti Sibillini ci sono molti luoghi segnati dalla leggenda delle fate (oltre alla Grotta della Sibilla, ci sono le Fonti delle fate, i Sentieri delle fate e la Strada delle fate) e a Pretare, Ascoli Piceno, ancora oggi, una rappresentazione, la discesa delle fate, custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste affascinanti creature.

La leggenda e il significato popolare

La grotta della Sibilla detta anche grotta delle Fate, prende il nome dalla leggenda della Sibilla Appenninica, secondo la quale questa grotta non era altro che il punto d’accesso al regno sotterraneo della regina Sibilla, un’antica sacerdotessa in grado di predire il futuro.

Si narra che da tutta Europa negromanti e cavalieri erranti, facessero viaggi estenuanti nella speranza di carpire un suo oracolo.

Secondo la versione originale della leggenda, la Sibilla Appenninica era una fata buona, veggente e incantatrice, detentrice della conoscenza, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, che elargiva responsi profetici con un linguaggio non sempre facile da interpretare. Attraverso i secoli, specie nel Medio Evo e nel primo Rinascimento, scrittori, poeti e letterati non solo italiani, si sono sbizzarriti a descrivere il fantastico mondo della Sibilla, trasfigurandone l’originaria e benevola personalità, fino a farla diventare, nelle varie versioni della leggenda anche una diabolica e lasciva maga, Alcina1, incantatrice di uomini. In questa sede noi sposiamo la benevola versione originale.

La Sapientissima Sacerdotessa Sibilla era circondata da Ancelle (le Fate della Sibilla) che vivevano con lei all’interno della Grotta. Le fate sibilline erano affascinanti creature, che uscivano prevalentemente la notte e dovevano ritirarsi in montagna prima del sorgere delle luci dell’aurora per non essere escluse dal regno incantato della Sibilla.

 

Esse si muovevano tra il lago di Pilato (dove secondo la tradizione si recavano per il pediluvio) ed i paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo ed il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare.

Secondo la leggenda, le fate sibilline avevano contatti con il mondo che le circondava: si recavano a valle non solo per insegnare alle giovani la filatura e la tessitura delle lane ma anche per incontrare i giovani pastori. Nelle notti di plenilunio amavano danzare e appropriandosi segretamente dei cavalli dei residenti, raggiungevano i paesi vicini per ballare con i giovani del luogo: si attribuisce alle fate l’aver introdotto il ballo del "saltarello".

Da quest’abitudine di avere contatti con il mondo terreno, nasce anche il tema del mito dell’Amore che le legava agli uomini. Secondo una versione della fiaba, questi ultimi, una volta entrati in contatto con le fate, sarebbero stati sottratti al loro mondo divenendo immortali: così come succedeva alle fate, rimanevano in vita fino alla fine del mondo, ma erano costretti a vivere nella grotta, nel modo della notte, con le fate e la sacerdotessa.

Le fate sono descritte come giovani donne di bell’aspetto, vestite con caste gonne da cui spuntavano zampe di capra. Il calpestio dei loro passi ricordava il rumore degli zoccoli degli animali sulle pietraie dei monti. Le fate dovevano stare ben attente a non mostrare le loro fattezze caprine (sarebbero incorse in dure punizioni) e per questo portavano gonne lunghissime.

La caratteristica del piede caprino è diffusa nei racconti di tutta la zona dei Sibillini, forse perché, nell’immaginario popolare, il piede così fatto avrebbe offerto una migliore presa sulle scoscese e ghiaiose pareti.

Secondo l’antropologo Mario Polia le fate appenniniche non sono da considerarsi come figure assimilabili alle creature leggiadre delle tradizioni celtiche, alle donne-elfo della tradizione germanica (fatte di luce solare), alle fate delle fiabe che ballano nelle radure dei boschi o alle figure minori delle ninfe greche: a suo parere erano creature sì gentili ma avvezze alle asperità della montagna, quindi determinate e volitive.Sibilla-Appeninica-fate-marche-lifemarche

JESI (AN) - LA PIAZZA DEL MERCATO
QUI NACQUE IL
JESI (AN) - LA PIAZZA DEL MERCATO
QUI NACQUE IL PIU' GRANDE IMPERATORE ALCHIMISTA

PIU' GRANDE IPERATORE ALCHIMISTA


 

La città è posizionata all’imbocco della Valle Esina da cui ha l’avvio la Strada Flaminia secondaria che collega l’Umbria a Roma, detta la "Via Flambenga". Anticamente si chiamava Aesis, fu fondata dagli Umbri e popolata poi dai Galli per poi diventare colonia romana. Ebbe sempre una sua importanza essendo luogo di confine tra Longobardi e Bizantini, e negli anni non mancò di notevole prosperità ed espansione demografica. Purtroppo anche questo centro venne colpito dalla peste nel 1328 anno in cui fu anche saccheggiato e di conseguenza annientato dai Ghibellini. Rinacque sotto il potente aiuto ecclesiastico nel 1447 e rimase possesso della Chiesa vaticana avanti nei secoli.

Re Esio, il capostipite degli Etruschi
La leggenda di Jesi dice che fu fondata da Re Esio, re dei Pelagi, che qui giunse direttamente dalla Grecia nel 1500 a.C., questo mitologico sovrano fu considerato il capostipite degli Etruschi, dei Sabini e dei Piceni. Ecco che tutto ciò rende la città regale, lo stesso Federico non poteva nascere in una città qualsiasi...


ovunque è possibile trovare il leone rampante, simbolo di Federico II di Svevia

La nascita di Federico II di Svevia, grande imperatore alchimista
E l’episodio che rese Jesi di grande importanza fu infatti la nascita fortuita, nella sua piazza principale, di Federico II di Svevia, nipote del Barbarossa. Costanza d’Altavilla, sua madre, il 26 dicembre 1194 ebbe improvvisamente le doglie mentre passeggiava nella piazza durante il mercato.
Era in viaggio per raggiungere suo marito Enrico IV di Svevia in Sicilia.
Era una donna ormai vecchia per concepire un figlio, oltre al fatto che ormai soggiornava da tempo in un monastero.

Situazioni che sollecitarono molte perplessità e pettegolezzi, come il fatto che la gravidanza fosse finta e che il bimbo nato provenisse da chissà quale casta che desiderò inserirsi nell’albero genealogico imperiale.
Dopotutto Costanza partorì nascosta da un tendone che fu subito alzato per pudore e riservatezza.
Federico invece portò queste dicerie a suo completo vantaggio, esaltando la sua divina persona, innanzitutto per essere nato il giorno dopo di Gesù, il 26 dicembre, identificandosi come secondo Messia, in secondo luogo per essere stato concepito in modo "misterioso", dato che la madre aveva ormai oltrepassato il periodo fertile. Ecco che, in questo modo, appariva al mondo come un essere ultraterreno, voluto da Dio in terra, una sorta di riscatto dello stesso Gesù.

Si rivelò un personaggio importante unificando l’Italia, fondendo tra di loro il Sacro Romano Impero e il regno di Sicilia. Ma ciò che incuriosisce della sua vita è un profondo e ossessivo interesse nei confronti delle scienze occulte, filosofia, alchimia, architettura, magia, a tal punto da circondarsi perennemente dai migliori scienziati, alchimisti ed architetti.
La costruzione più enigmatica d’Italia, Castel del Monte, ancora oggi non del tutto compresa, è stata commissionata proprio da lui. Ha voluto lasciare ai posteri una costruzione assurda, colma di simboli e significati, ancora non capiti nel complesso... ci ha lasciato un Castel del Monte senza "libretto delle istruzioni" come fosse architettura divina, quale rappresentante di Dio lui stesso si considerava.

Il misterioso obelisco
Oggi in quella stessa piazza viene tenuto ogni sabato il mercato, proprio come mille anni prima e vi è, oltre ad una lapide che ricorda l’evento e il punto dove Federico sarebbe nato, al suo centro un obelisco, simbolo di appartenenza alle scienze occulte da parte dello stesso imperatore. Dove c’è un obelisco c’è magia, così è e così sarà sempre.

 

la piazza con lo "stesso" mercato di 1000 anni fa

Giordano Bruno, l'astronomo eretico che fu processato per aver creduto all'esistenza di mondi abitati
Nella piazza del mercato si ricorda con una lapide il grande scienziato Giordano Bruno, frate domenicano, da sempre affascianto dall'astronomia affermava un Universo infinito, con una presenza infinita di stelle identiche al nostro Sole, attorno al quale ruoterebbero altrettanto inifiniti pianeti abitati come la nostra Terra. Per questo fu considerato eretico, condotto a Roma e processato di fronte alla Santa Inquisizione che lo bruciò sul rogo in Campo dei Fiori, colpevole solo di aver pensato il giusto...

Lo ricordiamo così:

«…gli astri innumerabili, che son tanti mondi…».

["La Cena delle Ceneri" (1584) ]

Solo a titolo di edificio curioso è da osservare la Chiesa dell'Adorazione o della Morte del XVII secolo con il simbolo del tempo costituito da una clessidra nell'atto di volare via...

Santa Maria del Piano
E’ una chiesa romanico-gotica che si trova fuori dalle mura di Jesi che va ricordata perché fondata su un antico tempio pagano romano.

Per Federico la città di Jesi fu sempre particolarmente cara, perché lì venne alla luce, lì, in quella piazza che un tempo era il foro romano, nacque sulla terra.
Questo luogo conserva in sé qualcosa di assolutamente magico che lo stesso Federico lo identificò come punto di contatto con l’aldilà, venuto al mondo, come spesso afferma, senza un vero e proprio concepimento. Una porta che si è aperta dal cielo per far passare un’anima eletta, predestinata.